BELLA
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E' nostra intenzione pubblicare ogni mese in questa pagina del Notiziario, anche dopo l'anno del centocinquantenario, il profilo di un pioniere della Chiesa in Italia.

    Sono persone che hanno dato tanto alla Chiesa: tempo, lavoro, talenti e sacrifici, ma dalla quale, così essi asseriscono senza esitazione, hanno ricevuto tanto.

     Alcuni di loro, proprio perchè sono pionieri, occupano o hanno occupato nela chiesa importanti posizioni direttive e sono ben noti a tanti fedeli, sia in Italia che al'estero.

    Tuttavia non vogliamo parlare soltanto di persone "famose". Nei nostri rioni e rami vi sono stati e vi sono tanti pionieri meno conosciuti, persone umili ma altrettanto preziose, utili servitori del Signore. Vorremmo esprimere anche a loro la nostra gratitudine per quello che hanno fatto e ancora fanno per la Chiesa, e additarli a esempio a quanti lavorano nella vigna del Signore.

    Vi saremo grati se vorrete portare questi pionieri alla nostra attenzione, fornendo tutti i dati necessari per preparare il loro "profilo".

La redazione

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GIUSEPPE PASTA

Pietro Currarini, "Profili di Pionieri: Giuseppe Pasta" La Stella, Notiziario, settembre 1997, pagg.2-3


Giuseppe Pasta

Il primo aggettivo che mi viene in mente se mi chiedono di descrivere Giuseppe Pasta è "aplomb". Che poi non è un aggettivo. Che poi non è italiano. E quindi stona non poco come attributo di un nome che più italiano di così non potrebbe essere: Giuseppe Pasta.

    Giuditta Pasta, la grande cantante lirica, famosa anche e soprattutto per le sue intemperanze di primadonna, non può essere una sua antenata. Infatti non l'ho mai visto perdere l'autocontrollo e la pazienza, neppure in situazioni che farebbero esplodere i comuni mortali come noi. Senza dubbio questo è dovuto alla sua capacità di capire, anche se non giustificare o scusare, il punto di vista degli altri.

     Giuseppe piace a prima vista. Ne ho conferma ogni volta che andiamo a Salt Lake City come interpreti in occasione delle conferenze generali. Tenere lontane tutte le persone che desiderano la sua compagnia non è fatica da poco. Da buon ligure con i piedi per terra, sono convinto che la sua offerta di collaborazione alla traduzione delle conferenze è una scusa per ritrovarsi con i vecchi amici. I quali, appena sanno che si trova in città, vengono a frotte per invitarlo. Sembra che aspettino solo il suo arrivo per tenere importanti e inderogabili riunioni di ex-missionari, di ex presidenti di missione, di addetti alle Relazioni Pubbliche, ecc. Sì, sono invidioso; perchè è bello essere tanto desiderato, come il rossiniano Figaro. Quando ci troviamo per strada in città, non è possibile tenere una conversazione a causa delle interruzioni di tanti, per me estranei, che irrompono con calorosi saluti: "Presidente Pasta", "Fratello Pasta!", "Giuseppe!".

     E' dotato di tanto buon senso pratico. Buono e gentile, per il suo aspetto un pò solenne e forse troppo serio, non rivela a chi non lo conosce il suo innato senso dellíumorismo. Ma i suoi amici, di cui mi vanto di far parte, sanno che devono stare in guardia contro le sue battute, a volte graffianti, ma perdonabili perchè sono soprattutto fatte a sue spese.

    Nato a Torino il 21 aprile 1940, proprio il giorno in cui allora si celebrava l'anniversario della fondazione dell'Urbe, vi ha risieduto fino al 1979.

    Dopo gli studi compiuti a Ginevra, in Svizzera, fu assunto dalla Fiat e lavorò in diversi settori delle vendite estere e italiane, per arrivare infine alla posizione di capo ufficio personale della Filiale di Torino.

    Anche se molto attivo nella Chiesa Cattolica con incarichi dirigenziali fra i giovani, volle nondimeno ampliare le sue conoscenze indirizzandosi verso lo studio di altre confessioni religiose. Si era nel periodo conciliare, durante il quale l'allora pontefice Giovanni XXIII invitava i cattolici a conoscere anche i "fratelli separati".

    Una domenica pomeriggio dell'agosto 1968, al termine di una serie di esperienze di volontariato presso i ricoverati del Cottolengo di Torino, incontrò i missionari a una riunione stradale. Si fermò e rimase molto colpito dal loro messaggio.

    Iniziò a frequentarli e a studiare il Libro di Mormon. Dopo molto studio e riflessione ricevette una inequivocabile testimonianza. Nonostante le innumerevoli pressioni contrarie in famiglia e da parte della Chiesa Cattolica, il 25 gennaio 1969 entrò nelle acque del battesimo.

    Nel 1979 accettò di lavorare a tempo pieno per la Chiesa e gli fu affidato l'incarico di organizzare il primo Ufficio Amministrativo a Milano.

    Nel 1988 fu chiamato a presiedere alla Missione Italiana di Roma.

    Alla fine di questo mandato ecclesiastico riprese il lavoro presso gli uffici della Chiesa a Milano come responsabile della Sezione Membri e Statistiche. Fu a quel tempo che cominciò a lavorare anche per il Dipartimento delle Relazioni Pubbliche.

    Dall'1 gennaio 1997 è andato in pensione, ma non ha smesso di lavorare poichè è stato nominato nostro direttore nazionale delle Relazioni Pubbliche, incarico di volontariato che lo tiene più occupato di quando lavorava a tempo pieno, e retribuito, per la Chiesa.

    Nel suo cursus honorum nella Chiesa, tralasciandone molti, troviamo gli incarichi di presidente di ramo, consigliere di presidenza di palo e presidente di missione.

    Dal 1985 ricopre anche líincarico di suggellatore che svolge presso il Tempio Svizzero.

    Attualmente vive a Grassobbio, in provincia di Bergamo. Dal 1981 è sposato con Madrilena Scaglietti, modenese, dalla quale ha avuto due figli: Michele, di 15 anni, e Irene di 10.

    Quando gli chiedono se gli è costato lasciare la FIAT, che a Torino è una vera istituzione e appartenere alla quale è uno status symbol, sorride e dice pacatamente: "Vi sono ricompense che non si trovano nella busta paga".

Pietro Currarini





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LEOPOLDO LARCHER

Manuela Pedemonte, "Profili di Pionieri: Leopoldo Larcher" La Stella, Notiziario, ottobre 1997, pag.4

Leopoldo Larcher

Da che sono entrata a far parte della Chiesa, e bisogna andare indietro al 1970, ne ho sentito parlare. Lui e la sua famiglia erano battezzati già da sei anni e a me sembrava impossibile che delle persone avessero potuto trovare quel coraggio quando in Italia i pochi membri della Chiesa erano sparpagliati per tutto il Paese e non si conoscevano l'un l'altro. Il modo poi in cui mi era stato detto che avevano conosciuto la Chiesa ed erano stati battezzati era, a dir poco, originale: lezioni sulla spiaggia sotto l'ombrellone e, di conseguenza, battesimo in mare.

    15 agosto 1964, riviera romagnola, affollatissima, difficile trovare un asciugamano di spiaggia libera, per cui il battesimo viene officiato un pò al largo all'una del pomeriggio. I curiosi dovranno aspettare un'altra occasione...

    Inizia così il lungo cammino della famiglia Larcher nella Chiesa, cammino che è iniziato grazie a Antonio, fratello di Leopoldo, il quale, come tanti altri italiani in quel periodo emigra in Germania per trovare lavoro. Là conosce la Chiesa e si dà da fare fino a che i primi missionari vengono mandati in Italia e suo fratello e la moglie vengono battezzati.

    I primi tempi non sono facili per i neo membri: la Chiesa non è ancora stata istituita e l'unica cosa che possono fare è leggere il Libro di Mormon già tradotto in Italiano e organizzare in famiglia le riunioni domenicali. Quando poi arrivano i primi missionari il salotto di casa si trasforma, alla domenica, in cappella. Basta spostare alcuni mobili, mettere due sedie lì, un tavolo là, e il gioco è fatto.

    Non ricordo con esattezza quand'è stata la prima volta che ho incontrato fratello Larcher. So però con certezza che da subito, vuoi per l'aspetto autoritario, vuoi per il sorriso sempre presente sul suo viso, mi ha messo una certa soggezione.

    Per me, battezzata da poco, Leopoldo e Maria Larcher sembravano lontani anni luce, ammiravo il loro modo di stare insieme e la loro sicurezza della verità del Vangelo.

    Leopoldo Larcher è conosciuto e stimato da tantissimi membri della Chiesa in tutta Italia. Infatti da presidente di ramo riceve la chiamata quale consigliere di missione ed ha modo di servire sotto diversi presidenti di missione fino al 1975 quando, primo italiano, viene chiamato a presiedere sulla missione di Roma. Secondo le sue parole, confermate anche dalla moglie e dai figli, sono gli anni più belli della sua vita. Dopo due anni a Roma, l'apertura della missione di Catania porta lui, la moglie e i tre figli a vivere in Sicilia dove, fra l'altro, nasce la quarta figlia.

    Gli anni successivi sono costellati di tappe importanti: primo rappresentante regionale italiano dal 1979 al 1981 e dal 1984 dipendente della Chiesa all'Ufficio Territoriale di Milano, ruolo che lascerà alla fine di questo anno per raggiunti limiti di età.

    Alla richiesta di esprimere le sue impressioni dopo così tanti anni di appartenenza alla Chiesa, ha risposto: "II Signore mantiene sempre le Sue promesse; è da sciocchi non seguire i Suoi consigli poichè tutto è possibile per chi si sforza di fare la Sua volontà". E' sempre stato pronto a servire senza riserve e non si è mai fatto intimorire da alcun impedimento; anzi è solito dire che è bene rimuovere subito qualsiasi ostacolo si trovi davanti. Il suo motto è: Io e il Signore siamo la maggioranza!

    Gli ho chiesto se mi poteva raccontare un episodio della sua vita a cui tiene molto. Gli si sono subito illuminati gli occhi e mi ha narrato di quando, era allora presidente della Missione di Roma, aveva indetto una riunione di addestramento dei capi zona. Doveva essere una riunione speciale, una riunione di ridedicazione al lavoro, e lo fu. Il presidente Larcher aveva percepito che se il successo del lavoro missionario non era dell'entità prevista, ciò era dovuto a un problema di dignità di alcuni missionari. L'obiettivo di quella riunione fu la determinazione a servire il Signore con cuore onesto e mente pulita. Per simbolizzare l'alleanza con il Signore tutti i capi zona, lo staff dell'ufficio e il presidente rimasero tutta la giornata vestiti di bianco, sì, come quando si è al Tempio. Fratello Larcher la ricorda come una giornata memorabile per i discorsi, gli incitamenti, la pianificazione e lo spirito di completa dedicazione al lavoro per il quale tutti i presenti erano stati chiamati. "Le istruzioni furono seguite, i passi del pentimento pure, e il Signore cominciò a benedirci con frutti copiosi e buoni. Dai quindici/venti battesimi al mese, vennero raggiunti i quaranta cinque, sessanta, sessanta due"

    I membri della missione di Roma conservano un ricordo vivo e affettuoso del fratello Leopoldo Larcher il quale, nei due anni passati in quella città, ha saputo dare al lavoro di proselitismo un'impronta di fede che permane tuttora. "Cosa direbbe ai giovani della Chiesa?" gli ho domandato.

    "Rimanete stretti alla verga di ferro, anche se non capite ora il perchÈè. Non abbiate timore di essere diversi, quando esserlo significa essere migliori. Se vi prendono in giro è per invidia. Preparatevi degnamente, tanto moralmente che tecnicamente per una missione a tempo pieno. Due anni di servizio, dei quali ne parlerete tutta la vita. Siate coraggiosi, non scendete a compromessi con l'avversario".

    E' tanto che non lo incontro di persona, ma ho avuto occasione di sentirlo varie volte al telefono per lavoro. Ancora oggi, come allora, provo soggezione. Ma la mia ammirazione e la mia stima per lui, conoscendolo meglio, sono cresciute a dismisura.

Note biografiche: Nasce a Vergato (Bologna) il 22 Settembre 1939. Trasferitosi a Brescia, a 23 anni sposa Maria, dalla quale avrà quattro figli: Stefania, Monica, Daniele e Emily.

Manuela Pedemonte





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ROSA E MARIO VAIRA

Manuela Pedemonte, "Profili di Pionieri: Rosa e Mario Vaira" La Stella, Notiziario, novembre 1997, pagg.8-9

Coniugi Vaira

È la primavera del 1973. Il salotto è accogliente, le persone stupende: Rosa e Mario Vaira e l'anziana mamma di lui, e poi i missionari, qualche membro del nostro piccolo ramo e io. È cominciata così l'affettuosa amicizia che mi lega da tanti anni al presidente Vaira e a sua moglie.

    Il cammino verso il battesimo, avvenuto 1'8 settembre 1973, è stato lastricato di interrogativi, dubbi, perplessità; poi la testimonianza, la decisione, senza più dubbi, senza vacillamenti, con il desiderio di imparare sempre di più, di percorrere insieme, mano nella mano, il sentiero che porta al Padre celeste.

    "Quale parte influente e importante sostenne Rosa nel processo di conversione! - ha detto fratello Vaira - Senza la sua positività, il suo desiderio di approfondire, di scoprire, di trovare, io non sarei stato altrettanto costante e non avrei conosciuto la gioia che proviene dal Vangelo di Cristo".

    Li ricordiamo, vent'anni dopo, all'ingresso del tempio: una stretta di mano a un fratello, un sorriso a un altro e una meravigliosa disponibilità per tutti. Orgogliosi, noi membri della chiesa italiani, di questo nostro fratello chiamato all'alta posizione di presidente del tempio. Molti potevano vantarsi di averlo conosciuto personalmente prima.

    Quello che ho notato fin dal nostro primo incontro e che tuttora adesso vedo è l'amore l'uno per l'altra, il rispetto reciproco, la dolcezza negli occhi, nel tono di voce e nell'atteggiamento che ha Mario quando parla di Rosa e Rosa quando parla di Mario.

    Si sono conosciuti nell'aprile del 1947 durante una gita in campagna di un gruppo di amici, complice una giovane del gruppo che decise di portare tutti a trovare un'amica, per l'appunto la futura sorella Vaira.

    "Rosa scese e fu dolce conoscerla, incontrare i suoi occhi grandi, penetranti, apprezzare il suo sorriso aperto, la bellezza del suo viso e della sua figura; fu come se l'avessi sempre conosciuta. Ci vedemmo ancora e poche settimane dopo, complice una laringite di cui mi sentivo responsabile per averla lasciata sotto la pioggia ad attendermi una sera a lungo, andai a casa sua dove fui felice di conoscere la sua saggia e buona mamma. Il nostro futuro si accomunò e cominciammo a costruirlo giorno per giorno con un umile atteggiamento di paziente attesa. La seconda guerra mondiale aveva lasciato uno strascico di rovine e di miseria e la ricostruzione materiale e morale arrancava tra serie difficoltà. Ma la nostra determinazione era grande. Oggi, cinquant'anni dopo quel primo incontro, posso affermare che io e Rosa ci cercavamo e che, dopo esserci conosciuti, qualcosa ci disse che non era stata una coincidenza fortuita".

    La vita nella Chiesa è stata, per fratello Vaira, una serie ininterrotta di incarichi: presidente di distretto, consigliere di missione, presidente di palo, presidente di missione, presidente di tempio, per citarne alcuni, che ha potuto svolgere grazie anche alla presenza paziente, sensibile, riservata di sorella Vaira, sempre pronta a servire e sorridente consolatrice.

    Ho chiesto a sorella Vaira come ha vissuto l'esperienza di tre anni al tempio. Le sue parole hanno espresso il timore iniziale di sentirsi limitata nelle proprie capacità, ma il desiderio di voler fare quanto chiesto dal Signore. "Ho trovato tanto amore. È stato così facile contraccambiare tutta la simpatia e l'interesse dimostratimi dalle persone che ho incontrato. Le sorelle e i fratelli di ogni nazione che hanno visitato il tempio in quel periodo hanno sempre avuto un sorriso, una parola gentile, un complimento. Io so di poter dire che ho amato ogni persona, ma so che l'amore ricevuto è stato di gran lunga superiore; non potrò mai dimenticare l'espressione felice e amorevole di tutte le persone che vedevo entrare al mattino. E come potrei dimenticare l'emozione che ho provato in occasione della visita al tempio del presidente Howard W. Hunter? E ancora dell'anziano Boyd K. Packer? Entrambe le volte abbiamo avuto la gioia di poterli ospitare nella casa del presidente del tempio. Quanta paura di sbagliare, ma quanta gioia nel poter godere della loro compagnia, del loro spirito, della loro saggezza! Sono certa che nei tre anni vissuti al Tempio di Zollikofen avrei potuto fare molte cose in più, ma sono anche certa di aver dato ai miei fratelli e sorelle tutto l'amore che c'è nel mio cuore, e l'ho fatto con gioia ed entusiasmo".

    L'amore che hanno saputo conquistarsi, soprattutto quello dei santi della Missione di Catania, dove hanno servito, è grande. Ero al tempio recentemente, quando fratello Vaira ha compiuto gli anni e i membri di Taranto, Messina, Catania, Bari hanno organizzato una festa a sorpresa. Sulla torta la candelina era una sola, ma gli occhi di tutti brillavano come tante luci per l'amore e la gioia di ritrovarsi insieme. Ed è l'amore che ha guidato la loro vita.

    "Non è bene che l'uomo sia solo" (Gen. 2:18). Da quel lontano 29 agosto 1951, giorno del loro matrimonio, i coniugi Vaira hanno dato un esempio dell'amore che può esistere in una coppia. Non a caso, care a fratello Vaira sono le parole del poeta Alexander Smith: "Amore, cos'è se non la scoperta di noi stessi negli altri, e il piacere di riconoscerlo?" Se telefoni a casa loro è facile sentirsi rispondere che Mario è nell'orto o che Rosa sta lavorando in giardino. Questa è la loro vita, semplice ma ricca di esperienze preziose, indimenticabili, dolci.

Manuela Pedemonte



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